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Il fenomeno del mobbing, negli ultimi vent’anni, ha assunto una forte rilevanza, imponendosi all’attenzione dapprima degli psicologi del lavoro e, in seguito, della società intera. Il termine mobbing, oggi, è entrato a far parte del linguaggio comune, e spesso viene utilizzato impropriamente. Pertanto, è fondamentale darne una definizione universalmente accettata, di modo che ogni lavoratore possegga gli strumenti per riconoscere prontamente il problema e mettere in moto delle strategie di difesa.

Definizione di Mobbing

In termini generali, il mobbing scaturisce da una situazione di conflittualità, in cui una persona diviene oggetto di azioni persecutorie da parte di uno o più aggressori, con la conseguenza che la vittima, non in grado di reagire adeguatamente, può sviluppare disturbi psicosomatici e dell’umore e, in alcuni casi, anche danno alla salute psicofisica.

Secondo la definizione operativa di Einarsen e colleghi (2003), “mobbing al lavoro significa molestare, offendere, escludere socialmente qualcuno o influenzarne negativamente i compiti lavorativi. Per poter definire mobbing una particolare attività, interazione o processo è necessario che esso si verifichi regolarmente e ripetutamente, per esempio settimanalmente e in un periodo di tempo di almeno sei mesi. È un processo progressivo, nel corso del quale una persona si trova ad essere in una posizione di inferiorità ed è bersaglio di sistematiche azioni sociali negative. Un conflitto non può essere definito mobbing se l’incidente è un evento isolato, o se le due parti coinvolte nel conflitto possiedono una capacità difensiva analoga”.

Le caratteristiche del mobbing

Da questa definizione emergono le caratteristiche cardine del fenomeno:

  • Frequenza, intesa come numero di volte in cui i comportamenti negativi vengono agiti settimanalmente. Gli studiosi considerano come soglia minima una o due volte alla
    settimana.
  • Durata complessiva dei comportamenti negativi, che deve essere almeno pari a 6 o 12 mesi.
  • Ostilità, cioè la negatività tipicamente insita nei comportamenti messi in atto.
  • Squilibrio di potere, che si riferisce alla disparità di potere percepito tra vittima e mobber; non solo una disparità gerarchica, dunque, ma anche una differenza fisica e sociale. Il mobbing è un processo che si sviluppa secondo diversi stadi. Nel contesto italiano elaboriamo un modello a sei fasi:

Prefase

Si tratta di una forma di conflitto fisiologico considerato normale e accettato nelle organizzazioni. È un conflitto senza una vittima identificata, frequentemente agito da figure che desiderano emergere.

  • Conflitto mirato
    Il conflitto evolve rapidamente da situazione generalizzata a fenomeno ben definito e diretto verso un soggetto identificato. Muta anche l’obiettivo, che adesso consiste nel colpire e ostacolare una singola persona, interessando, oltre i fattori lavorativi, anche parte della vita privata della vittima.
  • Inizio del mobbing
    L’individuo avverte disagi e fastidi anche molto intensi, dovuti all’inasprimento dei rapporti di lavoro tra colleghi e/o con i capi.
  • Primi sintomi psicosomatici
    La vittima comincia a manifestare dei problemi di salute e questa situazione può protrarsi anche per lungo tempo. Questi primi sintomi riguardano in genere un senso di insicurezza, l’insorgere di insonnia e di problemi dell’apparato digerente.

Il fenomeno del Mobbing: gli errori e l’esclusione

  • Errori e abusi dell’amministrazione del personale
    Il caso di mobbing diventa di dominio pubblico e talvolta viene ulteriormente aggravato dagli errori di valutazione da parte dell’ufficio del personale, dovuti ad esempio alle sempre più frequenti assenze per malattia.
  • Serio aggravamento della salute psico-fisica della vittima

Il soggetto entra in una situazione assai difficile: soffre di forme depressive più o meno gravi e si cura con psicofarmaci e terapie che spesso hanno il solo effetto palliativo poiché il problema non solo permane, ma tende ad aggravarsi proprio a causa di queste cure.

  • Esclusione dal mondo del lavoro
    Implica l’esito ultimo del mobbing, ossia l’uscita della vittima dal posto di lavoro tramite dimissioni volontarie, licenziamento, ricorso al prepensionamento o, in rari casi, esiti estremi e drammatici quali il suicidio, la vendetta o l’omicidio di chi ha dato vita al fenomeno.

Continua a seguire la nostra rubrica a tema psicologia e lavoro, nel prossimo articolo verranno descritti gli obiettivi del mobber e le caratteristiche della vittima, nonché alcune forme più specifiche di mobbing. Infine, sarà affrontata la tematica dell’intervento e della prevenzione.

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